martedì 9 aprile 2013



-PARTE SETTIMA-

Il tema centrale è la nascita di un movimento che investe il modo di pensare ed operare degli architetti del ‘900: il decostruttivismo.
Questa nuova tendenza architettonica fece il suo primo ingresso nella mostra organizzata a New York da Philip Johnson nel 1988 anche se, simbolicamente, si affermò in modo definitivo solo con il crollo del muro di Berlino (1989).

L’ idea di forza di questa nuova architettura è il caos
Le opere decostruttiviste sono caratterizzate da una geometria instabile, volumi deformati, tagli, asimmetrie.
Il decostruttivismo tende, dunque, a “decostruire ciò che è purezza formale, ciò che è razionale”.

Libeskind fu tra i primi sperimentatori di questo nuovo linguaggio: l’idea di forza delle sue opere è la stratificazione e il layer; questi ultimi, utilizzati nella progettazione della nuova ala del Museo Ebraico di Berlino, portano la stessa architettura a comunicare un senso di dramma.
In questo senso, oltre a Libeskind, anche Steven Holl propone nelle sue opere questa nuova ricerca sulla centralità della comunicazione.
Egli non concepisce l’architettura senza una volontà comunicativa, perché l’opera, prima di tutto, deve comunicare, oltre che con chi ne usufruisce, anche con l’intorno; deve “dimostrare” di poter esistere solo nel luogo in cui viene costruita, deve “dimostrare” il perché della sua esistenza, altrimenti risulterebbe un anonimo edificio.

Il contributo dato da Renzo Piano è importante sotto un altro punto di vista, quello del concetto di mixitè e dell’idea urbana di“anti-zooning” che riportano alla luce l’importanza dei luoghi del terziario.

"La vera innovazione sta nella possibilità di condividere contemporaneamente luoghi che svolgono funzioni diverse; non esistono più, dunque, zone predefinite".

Altro aspetto, non meno importante degli altri, è il rapporto tra paesaggio ed architettura che trova completa fusione nelle opere di Calatrava; quest’ultimo, grazie alle sue competenze ingegneristiche, arriva addirittura a “dar vita” all’architettura grazie appunto al movimento, il blurring di Eisenman.
Ancora, con Rem Koolhas si arriva a superare i limiti delle barriere architettoniche, trasformando la struttura in una “macchina” che si adatta alle esigenze di chi la vive, come con la Casa Floriac.
Alla “trasparenza funzionale” Jean Nouvel sostituisce una “trasparenza illusionistica”; alla superficie degli edifici Herzog e De Meuron sostituiscono una “pelle” ricca di significato.
Sono tutti elementi decisivi del rapporto tra architettura e ambiente.
Una delle opere più significative della fine del XX secolo è il Museo di Bilbao di Frank Gehry. In esso sono ben visibili tutte le sperimentazioni, gli studi ed i traguardi raggiunti dai vari esponenti di questo rivoluzionario movimento.

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