-PARTE SETTIMA-
Il tema centrale è la
nascita di un movimento che investe il modo di pensare ed operare
degli architetti del ‘900: il decostruttivismo.
Questa nuova tendenza
architettonica fece il suo primo ingresso nella mostra organizzata a
New York da Philip Johnson nel 1988 anche se, simbolicamente, si
affermò in modo definitivo solo con il crollo del muro di Berlino
(1989).
L’ idea di forza di
questa nuova architettura è il caos.
Le opere decostruttiviste sono
caratterizzate da una geometria instabile, volumi deformati, tagli,
asimmetrie.
Il decostruttivismo
tende, dunque, a “decostruire ciò che è purezza formale, ciò
che è razionale”.
Libeskind fu tra i primi
sperimentatori di questo nuovo linguaggio: l’idea di forza delle
sue opere è la stratificazione e il layer; questi ultimi, utilizzati
nella progettazione della nuova ala del Museo Ebraico di Berlino,
portano la stessa architettura a comunicare un senso di dramma.
In questo senso, oltre a
Libeskind, anche Steven Holl propone nelle sue opere questa nuova
ricerca sulla centralità della comunicazione.
Egli non concepisce
l’architettura senza una volontà comunicativa, perché l’opera,
prima di tutto, deve comunicare, oltre che con chi ne usufruisce,
anche con l’intorno; deve “dimostrare” di poter esistere solo
nel luogo in cui viene costruita, deve “dimostrare” il perché
della sua esistenza, altrimenti risulterebbe un anonimo edificio.
Il contributo dato da
Renzo Piano è importante sotto un altro punto di vista, quello del
concetto di mixitè e dell’idea urbana di“anti-zooning” che
riportano alla luce l’importanza dei luoghi del terziario.
"La vera innovazione sta
nella possibilità di condividere contemporaneamente luoghi che
svolgono funzioni diverse; non esistono più, dunque, zone
predefinite".
Altro aspetto, non meno
importante degli altri, è il rapporto tra paesaggio ed architettura
che trova completa fusione nelle opere di Calatrava; quest’ultimo,
grazie alle sue competenze ingegneristiche, arriva addirittura a “dar
vita” all’architettura grazie appunto al movimento, il blurring
di Eisenman.
Ancora, con Rem Koolhas
si arriva a superare i limiti delle barriere architettoniche,
trasformando la struttura in una “macchina” che si adatta alle
esigenze di chi la vive, come con la Casa Floriac.
Alla “trasparenza
funzionale” Jean Nouvel sostituisce una “trasparenza
illusionistica”; alla superficie degli edifici Herzog e De Meuron
sostituiscono una “pelle” ricca di significato.
Sono tutti elementi
decisivi del rapporto tra architettura e ambiente.
Una delle opere più
significative della fine del XX secolo è il Museo di Bilbao di Frank
Gehry. In esso sono ben visibili tutte le sperimentazioni, gli studi
ed i traguardi raggiunti dai vari esponenti di questo rivoluzionario
movimento.
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