domenica 21 aprile 2013

Frank O. Gehry - Casa Familian


Dei Paesaggi Residuali



Dopo un lungo periodo di lavori tradizionali e privi di spessore, nella vita di Gehry cambia qualcosa
La sicurezza e la voglia di cambiamento, nonchè la vicinanza alla cerchia di artisti e scultori suoi amici lo trascinano in una nuova esperienza di vita e di lavoro.Chiuso il vecchio studio e licenziati i suoi vecchi dipendenti Frank Gehry si riannuncia al mondo con un nuovo modo di vedere l'architettura.

-ASSEMBLARE
In questa sua fase lavorativa Gehry si interessa alla componente "materiale" della quotidianità e all' "architettura-decorazione" sostituisce un' "architettura-costruzione"; costruzione intesa come volontà assemblatoria, montaggio libero e informale di pezzi a prima vista incompatibili.
Attraverso questa via egli realizza la sua abitazione.
Qui la spazialità della casa è completamente deformata (a metà loft industriale a metà spazio scenico); 
l’assemblaggio di più elementi crea una composizione finale disarticolata grazie all’uso di materiali poveri, inusuali nell’architettura e grazie ad accostamenti spregiudicati per il perbenismo del vicinato.
L’influenza della pop art è decisiva nell’uso del legno grezzo, del Balloon frame, dell’asfalto come pavimentazione interna, della lamiera e delle reti da recinzione.
Un gioco di forme libere le une dalle altre, di rotazioni.
A questo periodo appartengono anche la Casa Familian a Los Angeles(non realizzata),Casa Wagner a Malibu 1978 e Casa Spiller a Venice 1978-79.





-SPAZIARE
Passo successivo verso il rapporto tra architettura e paesaggio è la concezione che Gehry ha dello spazio; quest'ultimo visto come carattere primario della composizione porta a considerare l'edificio come una sorta di scenografia, di un villaggio dentro il quale posizionare gli elementi.
In questo complesso non conta tanto la singolarità di ciascun edificio, quanto lo spazio che essi creano.
Lo spazio cavo è il centro della vita di un progetto urbano, gli edifici lo formano e lo deformano con una logica sommatoria, mai unitaria o scenografica.






martedì 9 aprile 2013

Landform architecture

Matteo Zambelli - Edilstampa











Landform architecture è geografia costruita piuttosto che architettura, è topografia piuttosto che volumetria, mette in crisi la dialettica figura-sfondo.
Si propone come una presenza dissolta e soft; trasgressiva ma non lacerante; disinibita, insolita.
Tende a distendersi in orizzontale incuneandosi e comprimendosi negli spazi liberi, rinuncia all'organizzazione stratificata e parallela del piano, propone l'ambiguità fra la superficie e volume, dissolve i limiti del progetto, sviluppa il concetto di indeterminatezza.
Esempio principale della Landform architecture è il Terminal Portuale di Yokohama dei FOA.


Il terminal fonde la dimensione urbana a quella architettonica, è del tutto assente la figura di "edificio su uno sfondo".
Il terminal propone un'alternativa al rapporto con l'intorno, qui il passaggio da pesaggio ad architettura è quasi del tutto impercettibile.
Strutturalmente il progetto è una via di mezzo fra l'origami e la costruzione navale; la copertura diventa una piazza pubblica, un parco sull'acqua e mimetizza l'imponente struttura del porto.

SCALE MOBILI, TOLEDO, SPAGNA

IL PROGETTO: incidere la "pancia" della collina con un           taglio a zig-zag in diagonale, slabbrare i margini della ferita.
















L'incisione lascia lo spazio necessario per un sistema di scale mobili, le slabbrature della pelle della crosta terrestre diventano le coperture dei sistemi di risalita.
Di giorno il taglio è nero-ombra, di notte "sanguina" una sostanza giallo-arancione.













"Non esiste uno spazio entro cui si collocano oggetti-architettura, bensì relazioni che deformano e creano insieme spazio e oggetto. Entrambi anzi non sono neanche più dissociabili come contenitore e contenuto, ma si plasmano e si intrecciano uno sull'altro".


-PARTE SETTIMA-

Il tema centrale è la nascita di un movimento che investe il modo di pensare ed operare degli architetti del ‘900: il decostruttivismo.
Questa nuova tendenza architettonica fece il suo primo ingresso nella mostra organizzata a New York da Philip Johnson nel 1988 anche se, simbolicamente, si affermò in modo definitivo solo con il crollo del muro di Berlino (1989).

L’ idea di forza di questa nuova architettura è il caos
Le opere decostruttiviste sono caratterizzate da una geometria instabile, volumi deformati, tagli, asimmetrie.
Il decostruttivismo tende, dunque, a “decostruire ciò che è purezza formale, ciò che è razionale”.

Libeskind fu tra i primi sperimentatori di questo nuovo linguaggio: l’idea di forza delle sue opere è la stratificazione e il layer; questi ultimi, utilizzati nella progettazione della nuova ala del Museo Ebraico di Berlino, portano la stessa architettura a comunicare un senso di dramma.
In questo senso, oltre a Libeskind, anche Steven Holl propone nelle sue opere questa nuova ricerca sulla centralità della comunicazione.
Egli non concepisce l’architettura senza una volontà comunicativa, perché l’opera, prima di tutto, deve comunicare, oltre che con chi ne usufruisce, anche con l’intorno; deve “dimostrare” di poter esistere solo nel luogo in cui viene costruita, deve “dimostrare” il perché della sua esistenza, altrimenti risulterebbe un anonimo edificio.

Il contributo dato da Renzo Piano è importante sotto un altro punto di vista, quello del concetto di mixitè e dell’idea urbana di“anti-zooning” che riportano alla luce l’importanza dei luoghi del terziario.

"La vera innovazione sta nella possibilità di condividere contemporaneamente luoghi che svolgono funzioni diverse; non esistono più, dunque, zone predefinite".

Altro aspetto, non meno importante degli altri, è il rapporto tra paesaggio ed architettura che trova completa fusione nelle opere di Calatrava; quest’ultimo, grazie alle sue competenze ingegneristiche, arriva addirittura a “dar vita” all’architettura grazie appunto al movimento, il blurring di Eisenman.
Ancora, con Rem Koolhas si arriva a superare i limiti delle barriere architettoniche, trasformando la struttura in una “macchina” che si adatta alle esigenze di chi la vive, come con la Casa Floriac.
Alla “trasparenza funzionale” Jean Nouvel sostituisce una “trasparenza illusionistica”; alla superficie degli edifici Herzog e De Meuron sostituiscono una “pelle” ricca di significato.
Sono tutti elementi decisivi del rapporto tra architettura e ambiente.
Una delle opere più significative della fine del XX secolo è il Museo di Bilbao di Frank Gehry. In esso sono ben visibili tutte le sperimentazioni, gli studi ed i traguardi raggiunti dai vari esponenti di questo rivoluzionario movimento.